I principali operatori del settore shale oil degli Stati Uniti sono intimoriti da un possibile ritorno del petrolio al di sopra dei 100 dollari per barile, in quanto tale prezzo potrebbe indurre i rivali meno attenti alla disciplina produttiva ad aumentare l’output di oro nero creando, potenzialmente, un nuovo eccesso di offerta.
Scott Sheffield, CEO di Pioneer Natural Resources, si sta preparando per un prezzo del petrolio in aumento dagli attuali 75 dollari per barile a 100 dollari, e questo a causa delle attese relative ad una domanda superiora all’offerta nel corso del 2022: “Spero che rimanga a quel livello - spiega Sheffield - prezzi a 110 o 120 dollari per barile non aiuteranno certo il nostro settore”.
I dirigenti petroliferi che esprimono ansia per i prezzi del petrolio a tre cifre possono sembrare controintuitivi, ma sono emblematici di un nuovo mantra che favorisce flussi di cassa stabili e maggiori rendimenti per gli azionisti; sebbene le perforazioni e il fracking nei giacimenti petroliferi americani non abbiano mostrato segni di rallentamento alla fine del 2021, gli esploratori quotati in borsa nella più grande zona di scisto del mondo si attengono all'impegno di frenare la crescita della produzione e restituire più denaro agli investitori.

L'industria petrolifera deve ancora riprendersi completamente dall'impatto devastante della pandemia sulla domanda di energia. Goldman Sachs ha avvertito che il petrolio potrebbe superare la soglia dei 100 dollari nel 2023 grazie alla domanda record, mentre Ed Morse, responsabile ricerca settore Commodities presso Citigroup, ha dichiarato che qualsiasi repentino aumento dei prezzi del barile sarà temporaneo.
Travis Stice, amministratore delegato di Diamondback, ha convenuto che il petrolio superiore a 100 dollari non sarebbe positivo per il settore in quanto potrebbe essere visto come un segnale per la crescita della produzione anche se, per ora, gli azionisti continuano ad affermare di essere contrari ad una simile evoluzione della situazione.
Fonte Bloomberg