Il tanto tenuto ritorno a mercato del petrolio iraniano tarda a palesarsi e se già nelle settimane passate alcuni analisti affermavano che l’operazione stesse prendendo troppo tempo, ora, dopo l’attacco alla petroliera nell’Oman di cui Teheran pare essere l’unica responsabile, pare proprio che i barili iraniani si allontanino sempre più dalla piazza internazionale.
I colloqui per ripristinare gli accordi sul nucleare sono attualmente in pausa a causa del cambio di presidenza a Teheran, ma l’attentato complica la situazione in quanto, anche se verrà evitata una soluzione militare, Washington potrebbe risultare meno incline a revocare le sanzioni.
I negoziati riprenderanno quando l’Iran tornerà al tavolo delle trattative, quindi, anche se sarà necessario comprendere appieno quale potrà essere la posizione di Ebrahim Raisi, il nuovo presidente della repubblica islamica, noto per la sua avversione agli USA e per il forte senso di appartenenza religioso.
Il ripristino del Joint Comprehensive Plan of Action (l’accordo tra Iran ed altre potenze mondiali siglato nel 2015 sotto l’amministrazione Obama e successivamente abbandonato da Donald Trump) consentirebbe all’Iran di aumentare la produzione di petrolio e le esportazioni dello stesso che, a metà 2018, sono crollate di oltre 2 milioni di barili giornalieri.

Ebrahim Raisi, il nuovo presidente dell’Iran
Ebrahim Raisi e l’Ayatollah Ali Khamenei (massima autorità religiosa - e non solo… - dell’Iran) potrebbero presto riprendere i negoziati, ma gli ostacoli da superare rimangono molti: l’Iran, ad esempio, vuole una garanzia che le future amministrazioni degli Stati Uniti non si ritirino dal nuovo patto e, inoltre, sempre Teheran esercita una forte pressione affinché la rimozione delle sanzioni sia totale e non parziale, due condizioni che lasciano a dir poco perplessi i politici di Washington; un altro punto critico è la cosiddetta “clausola break out”: si tratta di una modalità di esecuzione del Joint Comprehensive Plan of Action che limita le attività nucleari dell’Iran sino a rendere impossibile la realizzazione di un ordigno nucleare in meno di una anno; su quest’ultimo punto vi sono molti dubbi in quanto alcuni funzionari statunitensi ritengono che gli scienziati iraniani abbiano fatto abbastanza progressi negli ultimi tre anni per costruire un'arma atomica in pochi mesi.
Iran e Stati Uniti, in ogni caso, hanno affermato che continueranno a negoziare l’accordo nell’ottica - almeno quella di Washington - di stabilizzare il Medio Oriente.
“Ci saranno nuovi attacchi alle petroliere, ma non è questo che ostacola l’accordo e non lo è nemmeno l’elezione di Raisi che non implementerà nuove richieste, ma senza dubbio continuerà a premere affinché vengano concordate nuove concessioni all’Iran”: questo il commento di Scott Modell, amministratore delegato di Rapidan Energy Group, che prevede il raggiungimento di un accordo entro settembre che avrà come conseguenza diretta un aumento della produzione di petrolio iraniana pari ad un milione di barili giornalieri entro fine anno.
Fonte Bloomberg
Fonte immagine interna AFP