Il mercato petrolifero sembra un treno in corsa pronto a raggiungere i 100 dollari per barile e da Singapore a Londra a Houston l’indicazione è sempre la stessa: comprare a mani basse come, sostanzialmente, affermano gli analisti di Goldman Sachs, Jeff Currie in testa a tutti, eppure, quando tutti sono ottimisti, non è da escludersi a priori che, da qualche parte nel mondo, qualcuno stia vendendo in silenzio, discretamente ed a guidare la “squadra degli orsi” troviamo un vero e proprio protagonista dei mercati, ovvero Ed Morse, analista specializzato in materie prime presso Citigroup.
Nella passata settimana, proprio Morse ha raccomandato ai suoi clienti di vendere il petrolio, in particolare il Brent contratto dicembre 2022: per ora il trade non ha dato i frutti sperati, ma l’analista ottantenne non si scoraggia ed afferma che, dopo anni di carriera, risolvere il "puzzle del petrolio" è ciò che lo motiva a continuare a lavorare a Wall Street.
Attivo nel settore petrolifero sin dagli anni ’70, Morse, nel 2008, avvertiva gli investitori della presenza di una bolla simile a quella delle dotcom nonostante la maggior parte degli investitori fossero estremamente rialzisti: per alcune settimane il prezzo del petrolio continuò a salire raggiungendo i 150 dollari per barile ma, dopo tale picco, le quotazioni dell’oro nero sono crollate sino a poco sopra i 30 dollari.
Morse non è il solo ad essere preoccupato per un potenziale surplus nel mercato petrolifero, anche Ryan Lance, leader del colosso petrolifero Conoco Phillips, mostra timore in questo senso avvertendo che il Permian Basin da solo potrebbe aumentare la produzione di petrolio di 900000 barili giornalieri nel corso del 2022. Gli USA non sono i soli ad aver la possibilità di aumentare la fornitura di petrolio, in quanto anche l’Iran, nel caso in cui i negoziati con le superpotenze dovessero andare a buon fine, potrebbe tornare a mercato, anche se in molti nutrono il sospetto che abbia piazzato molto più petrolio del previsto, nei mesi passati, ragion per cui l’impatto del greggio di Teheran potrebbe rivelarsi tutto sommato limitato.
E la OPEC+? Anche il gruppo misto di produttori potrebbe fare la sua parte, poiché è vero che molti membri faticano ad aumentare la produzione ai livelli previsti ma, se il prezzo dell’oro nero dovesse arrivare a 100 dollari, allora i membri principali della coalizione potrebbero aprire i rubinetti: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iraq possono facilmente aggiungere un totale di 3 milioni di barili al giorno in più rispetto alla loro produzione attuale.
Sul fronte della domanda sicuramente parlare di picco potrebbe essere errato ma, allo stesso tempo, non possiamo affermare con certezza che la richiesta di oro nero rimarrà forte: la Cina, tuttavia, potrebbe compensare un eventuale calo della domanda nel resto del mondo.
Con le scorte di petrolio contenute il mondo non più permettersi eventuali carenze di produzione, tuttavia, la storia ci insegna che ci saranno sicuramente delle interruzioni nei flussi in arrivo mercato e, nonostante l’Arabia Saudita ed i suoi alleati siano in grado di aumentare la produzione, la loro capacità inutilizzata oggi è inferiore rispetto a un anno fa e, se pensiamo alla tensione tra Russia ed Ucraina, allora potrebbe anche essere ragionevole pensare ad un aumento dei prezzi del petrolio.
Potremmo essere vicini ad una grande interruzione dell’offerta, e questo dimostrerà che i tori hanno ragione, ma sarebbe un evento in grado di abbattere l’economia globale aumentando, al contempo, l’inflazione e questo sosterrebbe la teoria di Morse. Sostanzialmente, stiamo nella stessa condizione del 2008: rialzisti e ribassisti hanno entrambi ragione, peccato che la tempistica sia ben diversa…
Fonte Bloomberg