Gli aumenti di produzione concessi a Russia e Kazakistan, che il principe Abdulaziz ha definito necessari per ragioni stagionali, sono andati contro il mantra saudita di lunga data secondo cui tutti i membri dell’OPEC+ dovrebbero farsi carico di una parte della contrazione produttiva (paesi come Nigeria, Iraq ed Emirati Arabi Uniti hanno infatti visto rifiutate le loro precedenti richieste in merito ad un’autorizzazione ad un aumento produttivo).
Il compromesso ha inoltre evidenziato le diverse priorità dei due leader de facto del gruppo misto: i sauditi preferiscono sacrificare le vendite pur di ottenere prezzi del barile elevati, mentre la Russia preferirebbe conservare le quote di mercato difendendole da una nuova incursione dei produttori shale statunitensi.
Il vice primo ministro russo Alexander Novak ha definito la mossa dei sauditi un regalo di Capodanno per il mercato petrolifero ma, lo ricordiamo, a porte chiuse aveva chiesto alla sua controparte di non procedere con l’intervento: “ Dal punto di vista della Russia - afferma Amrita Sen, co-fondatrice di Energy Aspects - se in un mercato da 50 dollari per barile l’Arabia Saudita non è disposta ad aumentare la produzione di mezzo milione di barili giornalieri, quando si deciderà a farlo sarà troppo tardi ed avrà perso quote di mercato”.
L’aumento dei prezzi ha senza dubbio favorito il settore shale statunitense, ma questo non implica per forza di cose un nuovo boom, in quanto le società di settore si sono impegnate nel mettere a disposizione eventuali capitali aggiuntivi per soddisfare il rimborso del debito e dei dividendi.
Fonte Bloomberg