Nella sessione di ieri abbiamo assistito al più grande sell off che che abbia mai travolto Wall Street negli ultimi otto mesi: i traders sono intimoriti dall’aumento del rendimento dei Treasuries e dall’esacerbarsi del confronto commerciale tra Stati Uniti e Cina e qual è il risultato di tutto questo? Molto semplice: un crollo di oltre tre punti percentuali da parte dell’SP 500 che termina gli scambi a quota 2773 punti estendendo al 5% il calo dai massimi registrati nel mese di settembre.

“Probabilmente è l’inizio di una correzione - spiega Oliver Pursche, vice presidente di Bruderman Asset Management - sta venendo giù in attesa degli earnings: la preoccupazione, a dirla tutta, non è tanto relativa ai numeri del terzo trimestre, ma riguarda le prospettive per il quarto trimestre 2018 ed il primo trimestre 2019”.
Tutta colpa della Fed?
Non manca, in questa occasione, il commento di un infuriato Donald Trump che, prima di un intervento in Pennsylvania, dichiara che è tutta colpa della Fed che ha alzato i tassi di interesse come se fossero impazziti: “In realtà - chiarisce il presidente degli Stati Uniti - è una correzione che attendevamo da tempo, questo è vero, ma non sono d’accordo con quanto sta facendo la Federal Reserve”.
Gli investitori temono un eccesso di aggressività da parte della Fed e si presentano scettici sulla volontà di sostenere i mercati: una crisi del mercato azionario che dovesse intaccare i risparmi degli americani sarebbe decisamente inopportuna per Donald Trump che, nella giornata del 6 novembre, dovrà affrontare il test delle elezioni di medio termine.
L’SP 500 non è nuovo a questi scossoni e già all’inizio di febbraio scese di circa il 10% rispetto al massimo precedente lasciando intendere che il Bull Market fosse ormai agli sgoccioli, la la politica fiscale implementata da Washington ha consentito a Wall Street di recuperare terreno registrando nuovi massimi.
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