La diatriba tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che aveva tenuto in scacco il mercato petrolifero globale è stata risolta con un nuovo accordo in grado di soddisfare entrambe le parti ma, al contempo, la risoluzione della disputa ci ha anche fornito un’indicazione su un elemento critico: ci consente di capire come la coalizione potrebbe autodistruggersi.
A determinare il crollo della OPEC+ non sarà la tensione tra le potenze del Golfo, ma le visioni opposte in relazione all’allontanamento dai combustibili fossili e le modalità di protezione delle rispettive economie durante la transizione energetica.
La relazione tra Arabia Saudita ed Emirati è stata sin dall’inizio ricca di attriti: dopo il 1971 le controversie territoriali hanno rovinato i primi anni dell'indipendenza degli Emirati ed un trattato che si presumeva in grado di risolvere i problemi è da decenni un argomento di discussione particolarmente controverso; a metà degli anni 2000 l'Arabia Saudita ha ostacolato gli sforzi degli Emirati Arabi Uniti per costruire un collegamento con il Qatar ed ancor più intenso è stato l’impegno degli Emirati per boicottare il progetto saudita di una valuta pan-Golfo, dopo che gli Emirati Arabi Uniti hanno perso la battaglia per ospitare l'agenzia monetaria nel loro paese; recentemente, Arabia Saudita ed Emirati si sono trovati su posizioni contrapposte in merito al conflitto nello Yemen e Riyadh ha colpito la fazione opposta con l’introduzione di alcuni dazi ma, alla fine, non sarà una relazione geopolitica instabile a causare la separazione dei due paesi, ma le percezione divergente in merito alla transizione energetica.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno una strategia chiara: cercano di attrarre investimenti e diventare un leader globale nelle energie rinnovabili e nell'industria petrolchimica. Il Paese ha già diversificato la sua economia: solo circa un terzo delle entrate del governo proviene da petrolio e gas, mentre le entrate da idrocarburi rappresentano almeno i due terzi delle entrate del governo nelle altre nazioni del Consiglio di cooperazione del Golfo e, inoltre, gli Emirati Arabi Uniti sono diventati una destinazione importante per gli investimenti esteri legati all'energia green.
Nel settore del petrolio e del gas, gli Emirati Arabi Uniti si concentrano sull'aumento della propria capacità produttiva e sulla sicurezza dei mercati nelle economie emergenti, gli unici luoghi in cui la domanda di petrolio continuerà a crescere negli anni a venire. Gli Emirati stanno facendo buoni progressi verso l’obiettivo che prevede di essere in grado di produrre 5 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2030 rispetto ai 3,5 milioni del 2018 e lo scopo di questo grande aumento della produzione, in un momento in cui la transizione globale dai combustibili fossili è guadagnando slancio, è duplice: a breve e medio termine, gli Emirati Arabi Uniti vogliono essere in grado di capitalizzare e monetizzare il più possibile le proprie risorse petrolifere nel corso della transizione mentre, a lungo termine, il paese cerca di assicurarsi di essere uno dei pochi produttori di petrolio su cui il mondo fa ancora affidamento, anche quando la maggior parte del fabbisogno energetico mondiale è soddisfatto da altre fonti energetiche.
Riyadh, un po' più lentamente, è arrivata ad implementare un approccio simile ed il punto in cui i due differiscono di più è la timeline: gli Emirati Arabi Uniti sono in una posizione migliore per gestire una transizione anticipata e la recente diatriba ha chiaramente mostrato che gli Emirati preferirebbero una rottura totale con la OPEC+ piuttosto che essere assoggettati a quote di produzione ritenute inadeguate.
Chiaramente, gli Emirati Arabi Uniti si sentono pronti a competere per quote di mercato a prezzi del petrolio più bassi, se necessario, piuttosto che limitare la produzione per sostenere i prezzi e la recente quota produttiva fissata dalla OPEC+ ha fatto si che gli Emirati scegliessero di continuare a collaborare con la coalizione, almeno per il momento.
L'Arabia Saudita, al contrario, è ansiosa di mantenere vivo l'accordo OPEC+ e prima di essere in grado di far fronte a prezzi del greggio contenuti dovrà diversificare maggiormente la sua economia.
L'attuale forte crescita della domanda di petrolio, proveniente da un'economia globale che emerge dal Covid-19, sta ritardando il giorno in cui gli Emirati Arabi Uniti decideranno che la strategia di lunga data per limitare la produzione e sostenere i prezzi è superata. Quando sarà il momento, gli Emirati Arabi Uniti si muoveranno in modo intelligente per massimizzare la produzione e concentrarsi sulla quota di mercato a scapito del profitto: muoversi ora in tale direzione sarebbe controproducente, in quanto potrebbe invitare altri produttori ad agire in egual modo (abbandonare la OPEC+) e, con ben oltre 5 milioni di barili di produzione di riserva nel sistema, il prezzo si sposterebbe rapidamente verso la stasi.
Indipendentemente da quale paese precipiterà la fine dell'attuale accordo OPEC+, il probabile crollo dei prezzi del petrolio vanificherà gli sforzi per allontanarsi dal petrolio poiché la fonte di energia diventa più, e non meno, accessibile.
Fonte Bloomberg