La domanda di beni rifugio indotta dalle tensioni in Medio Oriente sostiene egregiamente le quotazioni dell’oro che, a dispetto di un dollaro in fase di rafforzamento e di rendimenti dei treasury in crescita, continuano a salire; a generare la price action descritta appena sopra sono anche i dati in arrivo dagli USA, che evidenziano un aumento più marcato del previsto delle vendite al dettaglio, un elemento che, temono gli investitori, potrebbe indurre la Fed a rimandare il tanto atteso taglio dei tassi di interesse.
L'oro spot è aumentato dello 0,9% a 2.365,09 dollari l’oncia, mentre i futures statunitensi sono saliti dello 0,4% a 2.383 dollari.
Secondo Bart Melek, responsabile delle strategie sulle materie prime presso TD Securities, quanto sta accadendo sarebbe direttamente collegato con la situazione geopolitica, in particolare alle dichiarazioni in arrivo da Israele, i cui vertici militari hanno affermato che una risposta all’attacco di sabato potrebbe essere imminente.
Il dollaro è salito dello 0,2% e i rendimenti dei titoli del Tesoro a 10 anni hanno toccato il massimo di cinque mesi dopo che i dati hanno mostrato che le vendite al dettaglio negli Stati Uniti sono aumentate più del previsto a marzo, ulteriore prova che l’economia aveva chiuso il primo trimestre su basi solide.
Il mercato prevede ora meno di due tagli da 25 punti base entro la fine dell’anno, dopo averne previsti tre, tuttavia, “…nel breve termine, i prezzi dell'oro potrebbero scendere verso i 2.200 dollari man mano che i premi geopolitici verranno esauriti", ha affermato Daniel Pavilonis, senior market strategist presso RJO Futures.
Anche gli acquisti da parte della banca centrale hanno fornito supporto ai lingotti ed a questo proposito gli analisti di Heraeus dichiarano: "Nonostante il prezzo record dell'oro, è improbabile che si verifichi un'inversione di rotta verso le vendite nette nel breve termine, poiché gli acquisti da parte delle banche centrali tendono ad essere strategici e insensibili al prezzo”.
Fonte Reuters